Andrea Cavaglià: “l’emozione del mio primo gallo forcello”

La caccia al gallo forcello è una passione che si impara a piccoli passi e richiede grande perseveranza. È un po’ come raggiungere la vetta della montagna, una conquista paziente, ma che alla fine ti porta a un passo dal cielo…

Era lì… schiacciato sotto quel grosso larice segnato dal tempo, tremava e io lo guardavo stupefatto, sentivo nell’aria l’esperienza che aveva portato lì quel cane, all’improvviso un fragore unico rompeva il silenzio, un’ombra nera s’involava a una ventina di metri e Paco, il setter di mio padre, restava lì immobile ai piedi di quel larice. Si era appena aggiudicato un CACIT al Trofeo Saladini e io avevo visto il mio primo gallo.

Il ricordo di quella giornata speciale è rimasto scolpito nella mia mente e da quel momento non posso fare a meno di tornare lassù, in mezzo a quei larici, a quei calanchi, a quelle montagne alla ricerca di un selvatico tanto imprevedibile quanto affascinante. Li chiamano diavoli neri i galli forcelli, forse perché sono selvatici che “rapiscono” tutti quelli che provano a insidiarli. La loro elusività, l’imprevedibilità dei loro spostamenti, prima o poi cattura noi cacciatori di montagna.

CHIAMATO ANCHE FAGIANO DI MONTE, IL GALLO FORCELLO È UN SELVATICO MISTERIOSO, NON MOLTO CONOSCIUTO, DALL’ASPETTO ELEGANTE.

Pennellate di nero, bianco e blu colorano il piumaggio del maschio, le caruncole rosse e fiere. Il suo volo è veloce e sostenuto anche su lunghe distanze. Nella caccia alla tipica alpina è tra le specie a cui mi sento più legato, insieme alle bianche e ai camosci.

È un selvatico “lunatico” ed è proprio questo a renderlo così interessante. Un giorno si lascia fermare e l’altro non ti dà nessuna possibilità. La speranza di ottenere qualche risultato si ha solo imparando a conoscerli. Per questo il cacciatore di montagna è disposto a consumare i propri scarponi su e giù, anche per un solo gallo forcello. Sì… le montagne sono molto belle, ma anche molto dure. Un paesaggio straordinario, con le proprie regole, che ricompensa solo il cacciatore che non si arrende. Per conquistare questo selvatico dal fascino unico, la montagna richiede sempre il giusto sacrificio.

D’estate l’ambiente diventa ospitale, ricco di cibo, bacche e germogli, con distese di rododendri e mirtilli popolate di insetti e formiche. È la stagione in cui i piccoli galli crescono e mutano rapidamente il loro piumaggio da grigio-bruno a nero corvino, il colore della piena maturità.

Una caratteristica che mi ricorda sempre una particolare tradizione culturale trentina. Nella valle dei mocheni, i giovani che compiono diciotto anni indossano il “Kronz”, un cappello che ha sul retro un’intera coda di gallo forcello, donatagli dai cacciatori della valle. Il passaggio simbolico all’età adulta, che ha segnato generazioni, è accompagnato proprio da questo affasciante selvatico!

Ottobre invece porta con sé il regalo dell’autunno, quando il colore dei larici dipinge i fianchi delle montagne e i maschi di gallo forcello, ormai adulti, si preparano all’inverno.

Massimo silenzio, alta concentrazione e un’ottima preparazione fisica sono gli ingredienti per andare a caccia di galli. I cani sono assoluti protagonisti, devono essere preparati all’ambiente montano e alle insidie di questa caccia. La loro ferma deve essere solidissima, per non sciupare nessuna occasione preziosa che si presenta e non provocare frulli anticipati.

A galli mi piace andare con un sovrapposto ad anima liscia maneggevole, come il Feeling Beccaccia. Un fucile versatile e leggero, che non affatica la spalla del cacciatore di montagna. È disponibile in calibro 1220 e 28.

NON POSSO DIMENTICARE QUELLA MATTINA IN CUI, IN COMPAGNIA DEI NOSTRI FUCILI SOVRAPPOSTI DA CACCIA, DECIDEMMO DI ANDARE A CACCIA DI GALLI FORCELLI.

Io, mio padre e mio fratello partimmo più presto del solito. In macchina discutevamo di strategie di caccia per ingannare l’attesa. La montagna alle prime luci dell’alba è uno spettacolo… ascoltarne il risveglio è una di quelle emozioni che non finiscono mai di stupirmi.

Cantavano in cima ai larici, quando arrivammo sul posto. L’unica scelta possibile era quella di aspettare, aspettare che mangiassero. Con l’esperienza ho imparato che solo dopo che si sono nutriti e si rilassano, i galli forcelli diventano meno sospettosi. A metà mattina iniziammo a risalire il sentiero, perlustrando il costone di larici in compagnia dei nostri ausiliari in assoluto silenzio.

Ci vollero qualche ora e molti passi, quando improvvisamente perdo di vista il giovane Gipo, che si allontana e sparisce in un canalone. Poco dopo vedo il cane in ferma, statuario, che indica un piccolo mugo a una trentina di metri da noi, dove il gallo che avevamo adocchiato poco prima si era rifugiato. Tutto era silenzio, come se la montagna stessa trattenesse come noi il suo respiro. Era questione di attimi e infatti ad un tratto vedo il gallo, che si libra possente in aria lanciandosi giù a valle. Il suo volo si spegne sulla mia prima canna. Un’emozione indescrivibile… Quando stringi fra le mani uno di questi splendidi animali tutte le fatiche della caccia si dimenticano, e arriva un po’ di triste malinconia…

La stagione venatoria è ormai lontana, ma spesso nei momenti di silenzio mi torna in mente proprio quel gallo e con uno strano desiderio dentro me, ogni volta mi dico “Sarebbe bello vederlo volare ancora”. Siamo strani noi cacciatori”.

Andrea Cavaglià

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